Teatro della crudeltà, così come piaceva a Artaud, al teatro Valle di Roma dove lunedì notte è accaduto di tutto, oltre Artaud, grazie alle virtù di Marcello Dell’Utri e dei boys di Forza Italia: cacciato lo spettacolo su Socrate, palco occupato da questo signore condannato per concorso esterno in associazione mafiosa e dai suoi ragazzi, i fedelissimi di Berlusconi che arringano il pubblico.
È difficile da spiegare anche perché non esistono precedenti di una vicenda simile, almeno non in era repubblicana, in Italia. Dell’Utri aveva fatto sapere che avrebbe seguito, per l’ennesima volta (è una sua passione febbrile) la messinscena «L’apologia di Socrate», interpretata da Carlo Rivolta, un artista molto spesso chiamato a fare la ciliegina culturale ai meeting di Forza Italia con brani tratti dal testo platonico. Si dice che quella di ieri sarebbe stata l’ottantunesima volta che Dell’Utri si sciroppava le vicende del grande filosofo greco ingiustamente condannato a morte. Si sapeva che il nostro uomo, anche in questa occasione, sarebbe stato accompagnato nella nota sala teatrale romana da una robusta corte di amici, estimatori, solidali, militanti e stipendiati. Tutto regolare: sala piena e minuti di attesa... In attesa che Dell’Utri terminasse la sua chiacchierata con i giornalisti assiepatigli intorno nel foyer.
Ecco la prima irregolarità: tutto quello che veniva detto da Dell’Utri alla stampa, a sostegno della sua innocenza e della velenosità degli attacchi politici e della magistratura ai suoi danni veniva, per esplicita richiesta dell’intervistato, amplificato e riportato alla grande nella sala piena di gente. Così come succede nel film Mash quando si trasmettono a tutto il campo militare le ansie d’amore di una soldatessa; solo che nel film tutto questo avveniva a sua insaputa, mentre ieri sera la comunicazione era stata decisa da chi evidentemente poteva farlo. Scioccante. Quanto è durato? Nel frattempo, Carlo Rivolta si innervosiva.
Va bene recitare per Forza Italia, ma farsi inglobare in una requisitoria così plateale era troppo. Così, Rivolta scrive. Annota qualche riga su un foglietto per spiegare il suo disappunto e la voglia di sospendere la serata teatrale. Dell’Utri se ne accorge, si mobilita e blocca l’artista: quel foglietto non si legge in pubblico, è lui il padrone di casa, è Forza Italia la produttrice dello spettacolo, e di Forza Italia la serata, il pubblico, Socrate, Platone e tutto il resto. Rivolta non ci sta e con un gesto davvero coraggioso manda la serata a quel paese: sul palco non salirà, lo spettacolo non si farà. Ma a Dell’Utri la cosa importa poco: lui quella pièce l’ha già vista ottanta volte, l’ottantunesima la vedrà quando lui vorrà. Però non ieri sera, questa se la mette via. Così, sul palco sale lui, violando - ma che cosa gli importa - la sacralità del teatro e le sue leggi gentili e inoffensive. Ci sale seguito dai suoi boys eccitati da quella strana euforia che viene ogni volta che si frantumano - per volontà o per caso - le regole. Padroni.
Eccoli sul palco, con il pubblico che batte le mani, che incita: erano tutti di Forza Italia, quelli del circolo di Roma Centro. E sul palco, riprende la sceneggiata della ferma affermazione della innocenza rispetto ai reati per i quali è stato giudicato e condannato a nove anni. Parole teatrali per i magistrati: si dichiara vittima di un neologismo, il «casellismo», argomenta con pacatezza sull’abbaglio preso dai giudici nei suoi specchiati confronti. È fatta: via il teatro con la sua doppiezza, dentro la vita con le sue.
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